Ho fatto scalo a Grado.
È un posto che c’ha un po’ di Rimini e un po’ di Jugoslavia, che ci arrivo con le scarpe infangate della terra della campagna che sta di dietro e mi trovo a mangiare le sarde con le cipolle. Ci arrivo dai cantieri navali di Fincantieri che costruiscono le navi da crociera più grandi del mondo a forza di saldare piastroni di acciaio. Ci arrivo percorrendo chilometri di lingue di asfalto appoggiate sul fango.
Avevo proprio voglia di vederla, ‘sta Grado qui (naturlamente per una bella canzone di Battiato) e più mi ci avvicinavo da Monfalcone e più la pioggia si faceva più insistente e più sottile, che mi ricordava quella che nel 1992 avevo preso in Irlanda (perché quella pioggia lì quando arriva dal mare, le nubi la scaricano così. Si dice nebulizzata, ahaha).
Allora, il racconto di oggi è piuttosto lungo ed è fatto così:
- causa pioggia, foto dall’interno dell’auto;
- arrivo in spiaggia e scatto sotto la pioggia;
- ritorno in auto e mi metto alla ricerca di un ristorante in centro;
- ristorante (pesce, dessert e caffè con grappa a parte);
- ritorno a casa, perdendomi nella launa, in un posto che si chiama “Caneo”.
Fine.