REVOLÚCIA

Io l’ho vista, la Revolúcia e ho promesso di raccontarla (altrimenti non mi davano la liberatoria per pubblicare le foto di questa nuova storia).

IERI
Una fabbrica (“firma”) dove il lavoro (“roboty”) significava: la tettona coi capelli cotonati che ti salutava all’ingresso dandoti del “lei” mentre consegnava le chiavi delle varie porte, gli spogliatoi dove tutti entravano e uscivano con le valigette ventiquattr’ore vuote (servivano solo a far pensare alla gente delle fermate dell’autobus “ecco un impiegato!”), la mensa con le zuppe e le carni bollite, le ragazze del laboratorio che quando entravano nei reparti coi camici bianchi erano i momenti belli della giornata, la stanza delle riunioni col Direttore che c’era gente che ancora dopo trent’anni ne aveva solo sentito parlare (Fantozzi!), la paga in banconote.
Le giornate erano scandite così: timbratura alle 6, alle 8 pausa caffè, alle 11 mensa, alle 13 tè, alle 15 e 30 timbratura e così erano 8 ore di lavoro e cominciava il secondo giorno, quello fatto di palestre, piscine, orti e lavoretti per la famiglia e per i vicini.
Certo era poco pagato.
Certo era alienante.
Certo era comunismo.
Certo era certo.

OGGI
Oggi questa fabbrica è in disarmo e gli spazi sono in ristrutturazione per trasformarli nei dormitori che ospiteranno centinaia di lavoratori presto in arrivo dall’Ucraina e dalla Serbia per il nuovo stabilimento della Jaguar. La disoccupazione qui in Slovacchia è al 6% (zero) e il PIL è al 5% e non ci sono abbastanza lavoratori, così li importano dai paesi dell’ex blocco dell’est; la lingua li facilita, la cultura pure, la religione anche (perché qui i musulmani non sono ben accetti).
Così succede che gli stipendi di 1.250 € promessi agli slovacchi dalla multinazionale, che è stata favorita negli investimenti, sono ora calati a 900 e i locali sono messi in competizione con i cugini che si accontentano di molto meno; quei cugini serbi e ucraini trasportati quotidianamente con gli autobus dal dormitorio al lavoro e dal lavoro al dormitorio, quei cugini che dei 500-600 praticamente gli rimane tutto, al netto di sigarette e alcol.
E li vedo infatti al Venerdì sera nei supermercati dei prodotti a buon prezzo che fanno le file alle casse con le bottiglie di vodka a 2,50 e li sento pure, con l’odore intenso delle zuppe alla cipolla o all’aglio; nelle loro belle salopette colorate coperte dai giubbini imbottiti tutti brandizzati per bene con colori, simboli e loghi delle aziende straniere fornitrici di Jaguar.

Non sembrano esserci grandi grandi differenze, a parte il fatto che quelli di IERI tornavano a casa dalle famiglie mentre quelli OGGI tornano nei dormitori. È quando ti fermi a spiegare che queste foto le fai per raccontare una storia che allora le differenze te le spiegano bene. E ti chiedono di dirlo che era meglio prima. E che la Russia è meglio dell’America. E che prima le Skoda se le compravano ma le Jaguar chi se le può permettere?
E che noi dell’Ovest gli avevamo promesso la revolúcia.

PS: e che se non ve lo racconto non mi danno il permesso di pubblicare le foto.
E infatti ve l’ho raccontato.


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